Chopin, il diavolo e il pianoforte nostalgico

La trama del Faust sembra percorrere trasversalmente l’intero ‘800, senza risparmiare virtuoso alcuno. E se molti conoscono i legami di Paganini e di Liszt e i loro presunti patti con il diavolo, pochi sono a conoscenza del fatto che al povero Chopin toccò avere a che fare con fenomeni che oggi definiremmo paranormali.

Sembra infatti che Chopin, in partenza per dei concerti a Vienna, lasciò un vecchio pianoforte nel suo appartamento di Zelazowa-Wola. Un pianoforte cui era molto legato per via degli intensi studi giovanili.

Al suo debutto a Vienna la sala era piena, ma il pubblico leggermente freddo ai suoi primi pezzi. Almeno fino al Notturno in Si minore, per il quale gli applausi furono frenetici, entusiasti.

Chopin aveva vinto! Le sue dita volavano sul pianoforte: gli accordi si spandevano per l’aria, e quei gemiti sonori strapparono lacrime a qualche bella fanciulla. Finalmente, stanco, spossato, egli lasciò penzolare le braccia lungo il corpo, e il suo sguardo si fissò vago, indefinito per lo spazio, quasi in cerca di quella mistica figura che lo aveva ispirato, mentre la sala echeggiava per nuovi applausi frenetici.

Ma egli non si scosse, tese l’orecchio, con una mano invitò tutti al silenzio e, fra lo stupore generale, avvenne il fatto più strano che fantasia di tedesco possa immaginare.

Dapprima indistinto, ma a poco a poco più chiaro, preciso, pezzo per pezzo, si riudì tutto quanto aveva suonato Chopin. Non una nota cambiata, non una sfumatura di meno: tutto, tutto, identico, preciso. Si avrebbe giurato che lo stesso Chopin, ad una distanza incalcolabile, ripeteva il suo concerto sopra un pianoforte fatato. E l’illusione fu tale che molti s’avvicinarono difatti a Chopin per vedere se Belzebù non lo avesse trasportato altrove.

Ma Chopin, pallido cadaverico, cogli occhi sbarrati, immobili da parere quelli d’un pazzo, non perdeva uno di quei prodigiosi suoni. Il giorno dopo, a Vienna, non si parlò che di questo fatto meraviglioso e tanta fu la curiosità in tutti, che al secondo concerto, per quanto i prezzi fossero elevatissimi, la sala non poté contenere che una quinta parte delle persone accorse. Il concerto ebbe luogo, e dopo, fra l’ansia generale, si riprodusse il fatto della sera prima, con una sola ma terribile variante.

Al vibrar dell’ultimo accordo si udirono come migliaia di corde metalliche infrangersi mandando un suono stridente, forte, lamentevole.

Tutta la sala sussultò e Chopin cadde come corpo morto al suolo.

Interrompendo il suo tour di concerti, il pianista polacco tornò a Zelazowa-Wola, nella speranza di ritrovare pace e serenità. Ma qui ebbe la più grande sorpresa.

Appena il portinaio lo vide:

<<Ah! Signor Chopin! Ma nel partire avete forse chiuso il diavolo nella vostra stanza?>>

<<Perché?>>

<<Perché? E lo domandate? Ma non sapete che sono due sere che nessuno può dormire in questa casa! Quella vecchia carcassa del vostro pianoforte, proprio dalle undici all’una precisa, suona alla più bella. Sarebbe un piacere a udirlo se i suoi concerti li desse in un’ora meno impropria.>>

Chopin non volle ascoltar altro. Salì a due a due i gradini della scala e trafelato ed ansante giunse all’uscio della sua stanza.

Corre al suo vecchio pianoforte che trova nello stato più miserevole che si possa ideare. Era aperto e scoperchiato, i tasti affondati come se un grosso martello li avesse percossi: e le corde aggomitolate come tante serpi giacevano ai lati del povero strumento.

A Vienna si riseppe subito tal cosa per mezzo dei giornali, ed allora un critico musicale che aveva narrato già la prima parte di questa strana storia subito scriveva: <<Ora tutto ci è noto. Il concerto invisibile cui assistemmo non era prodotto che dal vecchio pianoforte di Chopin. Questi nel partire aveva di troppo addolorato quel povero istrumento compagno ed amico suo, e nelle corde del quale egli aveva trasfusa la sua anima. Durante la lontananza di Chopin il vecchio pianoforte si lamentò col ripetere alla prima sera, eco innamorata, tutti i pezzi eseguiti dal suo amato padrone. Separavo forse che questi ritornasse subito al giorno dopo. Ma così non fu. Il pianoforte allora fece riudire accordi di pianto, melodie di dolore e il suo cuore – le corde – si spezzò.>>.

Storia tratta da “La Musica Popolare” del 1882. Autore Der Träumer.

Vito Schiuma