Zweisamkeit I, II, III. Un’opera metalinguistica

Zweisamkeit non è solo una parola intraducibile, bensì un concetto caleidoscopico che cambia forma, dimensione e segno a seconda del contesto in cui vive e si manifesta. Per il popolo tedesco è metafora di una vita condotta in due, l’Ich e il partner che smettono di essere distinti e iniziano a fondersi negli intenti e nel sentire, così da alleggerire e superare la difficoltà di stare al mondo. Nei paesi nordici l’essere soli in due non è etichetta di emarginazione né di autoesclusione dalla società, è un modo di porre al centro della propria esistenza se stessi e l’esperienza che si può vivere con l’altro e, possibilmente, amplificandone i significati e le emozioni per mezzo della condivisione.

Un habitus che non si contrappone all’ermeneutica meridionale, più orientata alla famiglia e al gruppo sociale di identificazione, ma che rappresenta un diverso cui guardare per raggiungere un equilibrio.

Zweisamkeit I

Zweisamkeit I è un brano che nasce su ispirazione di un esempio di architettura caratterizzata da 2 tetti a 2 falde con un’unica camera per gli ospiti che, quindi, hanno la possibilità soggiornare solo in 2 in un contesto di quasi totale immersione nella ruralità della bassa Murgia. La riflessione sulla progettazione del brano si è certamente soffermata sull’insistenza del numero 2, ma anche sull’esperienza che la struttura propone: l’esclusività in 2. Quest’ultima potrebbe già rappresentare una definizione di Zweisamkeit che, però, a differenza della sua traduzione italiana, dualitudine, non cela, e non intende farlo, la derivazione dal Wort Einsamkeit, solitudine. I linguisti culturalisti ne hanno fatto un emblema di intraducibilità. Perché se la solitudine, in una cultura mediterranea, appare triste, una solitudine di coppia sembra un inferno persino peggiore. Fortunatamente Zweisamkeit non implica necessariamente la coppia che si isola dalla società, bensì due persone che non necessitano di un orizzonte numericamente più ampio per vivere a pieno l’esperienza della vita. In Zweisamkeit I ho provato a immaginare non una dialogica di coppia trasposta e interpretata dai due strumenti, il pianoforte e il violoncello, bensì la diversa coniungazione del dialogo in un cambio culturale, ma soprattutto nella mutazione del vissuto di una stessa esperienza a seconda di quando, dove essa si svolge e chi la svolge.

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Zweisamkeit II

Mentre Zweisamkeit I è il risultato di una composizione “per pannelli”, ossia una sequenza di scene in un ambito compositivo cosiddetto tonale e tematico, in cui il tema viene esplorato in alcune delle sue possibilità, Zweisamkeit II si distacca dal compito di coniugare le esigenze di immediatezza che intende in qualche modo riflettere anche l’architettura ispirata all’arcaicità del contesto rurale in cui è collocata e procede nell’esperienza timbrica di due strumenti che raramente associamo all’immaginario del duo con il violoncello, vale a dire il violoncello e l’oboe. Due strumenti apparentemente incociliabili ma che nella più personale delle interpretazioni della Zweisamkeit generano un dialogo sfuggente, quasi mai in perfetta armonia. Eppure in uno spazio condiviso che a tratti sembra non avere alternative, anzi in perfetto dialogo. Una contrapposizione sfuggente, ma giocosa quando non appare del tutto inconciliabile. Video realizzato da Luigi Florente.

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Zweisamkeit III

La terza parte del ciclo non è pensata come drammaturgia di coppia, nemmeno con le dovute trasposizioni. Nel corso della riflessione, fino ad arrivare a questa ultima espressione, mi sono reso conto di come il focus fosse sempre rimasto sull’inconciliabilità del vissuto di Zweisamkeit tra due diverse culture. Ad esempio tra quella tedesca e quella italiana. E se ai miei studenti dico sempre che l’uomo che non conosce interpreta e interpretando inventa, come il più raffinato dei bardi e dei traduttori, io stesso non riuscivo a dare una traduzione al concetto di Zweisamkeit. Questa impossibilità, che banalmente si trasforma in intraducibilità, si pensi a concetto di lockdown, nella musica trova una chiave di coesistenza e, parlo a titolo del tutto personale, una chiave di accettazione estendibile all’intera difficoltà di vivere questi tempi. Quando questi sono difficili. Ad esempio, non tutto può essere bianco o nero e i colori non sono tutti uguali, e spesso noi uomini nemmeno li distinguiamo veramente. L’astrazione del linguaggio contemporaneo che contrappone il violoncello alla voce sopranile è un’occasione irripetibile, questa volta parlo per tutto il mondo dell’Arte, di interpretare la complessità dei nostri giorni ponendo in dialogo la musica nuova e questa nuova visione del mondo, o meglio Weltanschauung, ma anche questa è parola intraducibile. Il video è un tributo all’Arte, in questo caso in forma di gesto compositivo, che quando perde di Weltanschauung forse perde anche di credibilità.

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