Durante un matrimonio si può suonare l’Ave Maria di F. Schubert? Sì, senza ombra di dubbio. Vediamo perché.
La leggenda della prostituta
Che Schubert fosse parecchio incline a frequentare prostitute è risaputo, ma che gli si attribuisca una dedica solo perché nel testo compare un nome di donna è una favola banale e superata. Ribadiamo: non c’è nessuna evidenza storica che il Lied (Opus 52) fosse dedicato ad una prostituta, né il testo originale fa riferimento alcuno a donne dai facili costumi. Punto e basta.
Il testo profano
Certo. Il testo dell’Ave Maria non è tratto dai libri sacri, bensì – in versione originale – dalla traduzione di un poema dello scrittore scozzese Walter Scott. Quindi il testo non è sacro, perciò non è liturgico, ma non è nemmeno preso dal Decamerone di Boccaccio. In originale è l’invocazione di una fanciulla alla Vergine Maria. Se non sacro mi sembra possa essere definito quanto meno spirituale.
La musica del diavolo
Qui divento aggressivo. Lorsignori inquisitori mi devono spiegare in che modo un’opera di inizio Ottocento possa essere ritenuta lontana dalle pratiche sacre, dopo che per secoli la musica profana ha attinto a piene mani dalla musica sacra (e viceversa), talvolta confondendo gli stilemi, altre volte fondendo i generi. Soprattutto nella musica corale/vocale.
Scomuniche, minacce e Don Abbondio vari
Nonostante un maldestro tentativo, non ufficiale, della Sacra Congregazione, subito rettificato nel 1979, la Chiesa non ha mai, dico mai, proibito ufficialmente l’esecuzione dell’Ave Maria durante i matrimoni. Soprattutto prima della liturgia o durante l’apposizione delle firme.
Nel documento ufficiale Rito del Matrimonio, pubblicato dalla CEI il 4 ottobre 2004, non si fa alcun divieto all’uso di brani non strettamente liturgici.
Le ragioni dell’opposizione
Escludendo ignoranza e cattiveria, il principio dietro il diniego all’Ave Maria è la volontà di molti parroci di utilizzare solo melodie e testi liturgici ufficiali, ma soprattutto evitare che la chiesa e il rito diventino un ennesimo palcoscenico di matrimoni già eccessivamente in stile hollywoodiano.
Niente da dire quando gli sposi propongono Annarè di Gigi D’Alessio o la Cavalcata delle Valchirie di Wagner, mentre come abbiamo visto il testo adoperato da Schubert è abbastanza pertinente (anche se non strettamente legato ad un matrimonio).
Altri adducono come motivazione la sobrietà e la solennità del rito.
Cari moralisti, vi capisco, ma quelli ve la fanno sotto il naso: primo la sobrietà non ha nulla a che vedere con la leggerezza e la futilità della musica che accettate tutte le domeniche in chiesa.
Secondo, guardate che in molti casi durante la liturgia si sfiorano ritmi che vanno dal rock al reggae. Con mia grande e vibrante soddisfazione.
Non abbassate sempre la testa
Il motivo per cui la Chiesa non vieta espressamente brani musicali, generi, armonie, scale, testi, ecc. è perché la musica insieme all’arte e all’architettura è per loro, non solo ulteriore testimonianza del divino, ma anche mezzo imprescindibile per avvicinarsi allo spirituale. Come è sempre stato, senza necessariamente arrivare ai gospel (vedi articolo sugli Exultet).
Anche io non avrei fatto cantare Albano in chiesa -a prescindere non dovrebbe cantare da nessuna parte- perché la chiesa non è un palcoscenico, ma precludere agli sposi la possibilità di suggellare il momento con un brano che li emoziona, tra l’altro con un testo sacro (nella versione in latino), mi sembra esagerato e sadico.
Ai futuri sposi faccio io la predica: non impettitevi solo durante la passerella in sala, davanti ai fotografi o quando dovete chiedere lo sconto alla band. Sposarvi è un vostro diritto, non una gentile concessione del parroco di turno. Tanto più che al di fuori del rito, ad esempio durante la lettura degli articoli, l’Ave Maria può essere suonata senza obiezione alcuna.
Vito Schiuma