Pochi mi crederebbero se dicessi che c’era un tempo in cui Bari era un centro culturale di avanguardia in cui le arti visive, la musica e la letteratura più avanzate del tempo si incontravano al servizio dell’espressione di un pensiero intellettuale, la fede religiosa, che allora, ancora più di oggi, scuoteva i popoli dall’interno. E invece quel tempo c’è stato, oltre mille anni fa, per molto tempo prima e molto tempo dopo l’anno Mille, quando gli Exultet di Bari presero vita, fotografando un apice culturale che raramente sarà ripetuto nella storia della nostra città. In tutto il mondo esistono solo 28 Exultet, a Bari ce ne sono 3 che, come concordano studiosi come Avery, Bannister, Lowe, Latil e Schlumberger, sono tra i più preziosi.
Cosa sono gli Exultet
Gli Exultet sono tre rotoli di pergamene, realizzati intorno all’anno mille da artisti baresi, caratterizzati dalla presenza contestuale di testi poetici, raffigurazioni miniate e le prime notazioni musicali della cultura occidentale, i neumi. I rotoli, la cui bellezza è pari solo all’oblio di cui godono nel nostro territorio, sono stati utilizzati per oltre quattro secoli per celebrare il rito liturgico della veglia pasquale del Sabato Santo e attualmente sono conservati presso il Museo Diocesano di Bari (via Dottula). exultet
Prima di poterne capire l’importanza, non solo storica, bensì anche intellettuale di queste testimonianza può essere utile descrivere brevemente di cosa si tratta.
I primi due rotoli sono un preconio e un benedizionale e sono entrambi databili all’XI sec. Le pergamene venivano srotolate dal diacono durante il rito per mostrare ai fedeli le miniature che riproducevano visivamente i contenuti del testo poetico (in latino), cantato dal diacono stesso. Il preconio annunciava la resurrezione di Cristo e, appunto, inizia con la parola Exultet (esultate).
Il Benedizionale invece si inseriva in questo rito complesso che comprendeva la benedizione del cero pasquale (dicotomia luce = salvezza) e del fonte battesimale ed è un’appendice fondamentale del preconio.
Il terzo rotolo è una copia dei primi due e risale al XII-XIII sec. ed è qualitativamente inferiore ai primi due.
Da chi sono realizzati
Dopo la caduta dell’impero la più grande influenza nella cultura barese fu quella longobarda. I Longobardi, infatti, non si accontentarono di assoggettare la città e tutto il Sud al proprio potere, bensì ne organizzarono le istituzioni e i centri culturali. La scrittura degli Exultet di Bari testimonia una città ancora fortemente caratterizzata dall’influenza longobarda, nonostante la riconquista bizantina dell’876. L’avvicendarsi di popolazioni molto diverse, i longobardi di origine germanica con la loro forte influenza nell’organizzazione delle istituzione e della società, i bizantini di origine greco-orientale con quella che fu una vera e propria invasione di una massa di militari, impiegati, commercianti e artisti bizantini e un quarto di secolo di dominazione araba, con l’Emirato di Khalfun, restituì una città cosmopolita e orgogliosa delle svariate sfaccettatura culturali che la storia le aveva regalato. Gli Exultet ne sono una testimonianza chiara e incontrovertibile. In questo contesto, sfociato poi nel 1071 con la conquista normanna da parte di Roberto il Guiscardo, detto l’Astuto, nacquero i rotoli di Exultet a coronamento di un rito che di certo era molto precedente, probabilmente di VIII sec.
La datazione dei rotoli è possibile grazie alle note mnemoniche, ossia annotazioni riportate sui rotoli affinché il diacono potesse ricordare durante il rito le autorità ecclesiastiche e imperiali e invocarne la benedizione. Tra le prime note mnemoniche vi è la dedica all’imperatore Costantino IX Monomaco (1042 – 1055) o Costantino VIII (1025 – 1028), le quali rendono piuttosto verosimile una datazione all’XI sec.
La realizzazione potrebbe essere attribuita al Monastero di San Benedetto di Bari fondato nel 978 dall’Abate Girolamo. Vediamo perché.
Chi furono gli autori
I versi poetici sono presi dagli scritti di Sant’Ambrogio per il rito ambrosiano e sono in scrittura Beneventana Bari type. La grafia beneventana si sviluppa a Benevento a partire dall’VIII. A Bari si sviluppa una variante di un paio di secoli successiva in seguito all’influenza bizantina con la minuscola greca, le forme sono più arrotondate e le linee più sottili. Tuttavia l’importanza di questa tipizzazione risiede proprio nella capacità della città di creare un’influenza proprio nella cultura dell’epoca. La presenza di un carattere tipico non è un fatto puramente tipografico, bensì indica una vera e propria produzione locale, fugando ogni dubbio sull’origine degli artisti che lavorarono agli Exultet. Non solo la loro provenienza è indubbiamente barese, ma questi letterati godevano di sufficiente autorità e autorevolezza nel produrre delle varianti nel testo poetico, nelle miniature, nella scrittura musicale e di conseguenza anche nel canto.
Le miniature e l’elogio delle api
Le miniature degli Exultet di Bari sono piccoli capolavori all’interno di quella che non ho problemi a definire un’opera universale delle arti medievali. Si tratta di 7 quadri nel primo pezzo e 4 nel secondo in cui vengono riprodotti graficamente i temi del testo poetico. Lo stile è identificabile in una via di mezzo tra quello bizantino e quello beneventano-barese. Le lettere iniziali sono ornate con “perle” bianche tipiche del beneventano-barese. A mio avviso una delle parti uniche diBari Exultet 1 XI siècle queste miniature è l’elogio delle api. Nel Medioevo l’ape regina veniva spesso accostata al miracolo della Vergine, poiché esse, secondo le conoscenze del tempo, potevano riprodursi senza accoppiarsi, quindi restando vergini. Inoltre le api erano le principali artefici della produzione del cero con il loro lavoro operoso. Non si tratta solo di una metafora, è proprio la fotografia di uno spaccato di produzione locale del tempo, in cui le api e l’apicoltura erano largamente diffuse nelle tradizioni cittadine.
L’importanza musicale degli Exultet
I rotoli di Exultet riservano a Bari un posto nella storia della musica nei capitoli che riguardano l’evoluzione della notazione musicale e del canto liturgico medievale. In occidente fino all’VIII sec. rari e complicati erano stati i tentativi di riportare su carta quella che è tra le arti la più sfuggente. Nel medioevo si arriva ad un scrittura detta adiastematica, i neumi in campo aperto. Si tratta di piccoli segni derivati dagli accenti grammaticali latini e greci, che indicavano un movimento ascendente o discendente della melodia. Non molto di più: non davano indicazioni di ritmo, né di intonazione più precisa. Successivamente, come nel caso dell’Exultet I, ai neumi si aggiunge il guidone, ossia la prima nota che dava l’intonazione. Possiamo interpretarla come imprecisione della scrittura e in favore di questa tesi viene l’aggiunta dei tre, quattro righi ai neumi dell’Exultet II e della notazione quadrata su tetragramma (l’antenato a quattro righi del pentagramma) con chiave e guidone dell’Exultet III. Tuttavia bisogna ricordare che il Medioevo fu un’epoca in cui la simbologia era onnipresente in tutte le arti e in special modo in ciò che riguardava l’arte ecclesiastica. La simbologia medievale non va pensata come un espediente letterario, retorico o artistico, bensì come un vero e proprio modo di pensare, una chiave di lettura dell’Universo e della vita. Gli studi sui neumi e in particolare gli errori diffusi nelle copie in cui questi venivano utilizzati da più cantori indicano come questa scrittura fosse anche, se non soprattutto, un modo per rendere tangibile la musica stessa, contrastarne la fugacità e materializzarla per renderla eterna. Come la pittura, la scultura e la parola di Dio. Questa teoria per quanto filosofica ci possa sembrare in realtà spiega anche il perché della presenza dei neumi su dei documenti così importanti, nonostante il cantore, il diacono nel caso degli Exultet, dovesse comunque conoscere a memoria il canto, in quanto la scrittura, per via dei suoi limiti tecnici, avrebbe potuto solo sostenerlo ma non istruirlo.
Il canto degli Exultet di Bari è potente, nel senso evocativo del termine. Mozart affermò di aver voluto volentieri rinunciare alla propria musica pur di aver composto l’Exultet. Al di là dell’affermazione difficilmente verificabile, non siamo in presenza di un semplice canto gregoriano. Gregorio Maria Suñol, musicologo e studioso di canto gregoriano, riconosce agli Exultet di Bari l’assoluta priorità storica della scuola barese rispetto a quella beneventana. Il canto liturgico, infatti, è una declinazione della tradizione locale che lascia intendere la presenza di una vera e propria Schola Cantorum barese con repertori e scritture proprie, influenzati dalla cultura greco-bizantina.
Alcuni tratti tipici sono la linea melodica caratterizzata dal quilisma nelle note iniziali (una specie di trillo) e numerosi melismi nel terzo rotolo, quello in notazione
Oltre all’originalità del canto barese mi preme evidenziare quanto questa sia ancora più rilevante se si pensa alla funzione del canto liturgico, cosiddetto gregoriano (in realtà sarebbe beneventano). Il canto cristiano medievale non era un semplice interludio tra preghiere e prediche, era un ulteriore modo per trasmettere spiritualità, fede e sentimenti cristiani all’uditorio. Un canto denso di trasporto, profondo di significato, sentito, come raramente nella musica sacra. Vi ricorda nulla? A me ricorda il Gospel di molti secoli dopo. Una musica al servizio del Messaggio, senza protagonismi e ambizioni sceniche, ossia la quintessenza della musica: la realizzazione di una comunicazione universale che arrivi diretta all’interlocutore. Il parallelismo con il Gospel non è per niente una forzatura, se si pensa che da quella musica sono derivati tanti stili e contesti con cui la musica ha saputo dare rilievo culturale al suo contenitore (Stati Uniti) e ai suoi esponenti (bluesmen, jazzisti, ecc.). Un rilievo talmente potente da risultare imprescindibile in qualsiasi genere e stile musicale dei nostri tempi. La musica che ritorna a essere espressione intima di una credo e poi, allontanandosi dalla sacralità, di uno status, di una rivoluzione sociale, di una esigenza intima dell’uomo: esprimere quello che ha dentro. Mi piace pensare, ma non sono l’unico, che nell’anno Mille Bari potesse essere quel centro culturale che ha contribuito a sviluppare tutta la storia musicale europea.
Una mia considerazione
L’attuale stato culturale della città di Bari, ma anche dell’Italia intera, e l’inevitabile paragone con un così glorioso e ricco passato non può non indurre a cercare una via, abbandonando possibilmente l’idea per cui ciò che è venuto prima di noi sia necessariamente vetusto, inutile e superato, inseguendo così la modernità, il nuovo, l’esterofilo con la cieca presunzione di chi non ha nulla da imparare dai propri predecessori.
Vito Schiuma
Bibliografia:
Repertori liturgico-musicali nell’Italia meridionale e fonti beneventana manoscritta e pratica musicale – Codici di Puglia – B. Baroffio
Iter liturgicum, Editio Maior – G. Baroffio
Exultet 1 di Bari / a cura del Capitolo Cattedrale ; testo G. Barracane ; Bari : Favia , [198.]
Gli *Exultet della Cattedrale di Bari / Gaetano Barracane – Bari : M. Adda , [1994]
La Schola musicale barense nel contesto dell’arte in Alle sorgenti del Romanico – Ettorre
Tradizione manoscritta e pratica musicale – I codici di Puglia – D. Fabris
Bari : Soc. di storia patria per la Puglia , 1959- Francesco Babudri
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