Vito Schiuma

Pianist, Composer, Musician.

Tag: pianoforte

  • Blue Bird, il nuovo album in pianoforte solo di Vito Schiuma

    Blue Bird, il nuovo album in pianoforte solo di Vito Schiuma

    Blue Bird è il mio nuovo sforzo discografico con cinque composizioni per pianoforte solo. Si tratta di cinque notturni ispirati ad alcuni componimenti brevi del poeta americano Charles Bukowski. Un lavoro che a lungo abbiamo portato al pubblico pugliese in forma di reading e musica.

    Personalmente li ho sempre considerati notturni, non quale rimando alla letteratura romantica, bensì per le atmosfere misteriose, a tratti cupe, ma anche riflessive della notte. 

    Ho provato a disegnare l’immaginario pianistico di un autore tragico e allo stesso tempo edificante, duro ma anche profondo. 

    Blue Bird disponibile a breve su tutte le piattaforme di streaming.

  • Ave Maria – A Gospel (per piano solo)

    Ave Maria – A Gospel (per piano solo)

    Sono entusiasta di presentarti il mio ultimo arrangiamento, un’interpretazione unica e appassionante dell’Ave Maria di Schubert, arricchita da influenze gospel che portano questo classico a nuove vette emozionali.

    Titolo dell’Arrangiamento:Ave Maria – A Gospel (pianoforte solo)

    Caratteristiche dell’arrangiamento:

    1. Armonie Gospel Incantevoli: Lasciati avvolgere dalle armonie gospel che trasformano questa melodia sacra in un’esperienza spirituale unica.
    2. Piano Solo Espressivo: L’arrangiamento è pensato per il pianoforte solo, permettendo al musicista di esplorare la profondità emotiva della composizione.
    3. Accordi Dettagliati: Ogni passo dell’arrangiamento è accompagnato da dettagliati accordi, offrendo una guida chiara per interpretare e personalizzare la tua esecuzione.

    Scarica lo spartito:

    L’arrangiamento dell’Ave Maria è ora disponibile su Sheet Music Plus e Sheet Music Direct, prontamente scaricabile per arricchire il tuo repertorio musicale.

    Perché Scegliere il mio Arrangiamento:

    • Innovazione Musicale: Offri al tuo pubblico un’esperienza unica, mescolando la bellezza classica con l’energia avvolgente del gospel.
    • Adatto a Tutti: L’arrangiamento è pensato per essere accessibile a musicisti di tutti i livelli, garantendo un’esperienza appagante per chiunque desideri esplorare nuove sonorità.

    Ascolta un’anteprima qui:

    Ordina Ora e Riscopri la Tua Musica:

    Non perdere l’opportunità di arricchire il tuo repertorio con questa straordinaria versione dell’Ave Maria. Ordina il tuo spartito oggi stesso anche su questo sito: Schubert Ave Maria Gospel Piano Arrangement for Beginners e inizia il tuo viaggio musicale.

    Grazie per il tuo continuo supporto alla musica innovativa e appassionante.

    Vito Schiuma

  • Zweisamkeit I, II, III. Un’opera metalinguistica

    Zweisamkeit I, II, III. Un’opera metalinguistica

    Zweisamkeit non è solo una parola intraducibile, bensì un concetto caleidoscopico che cambia forma, dimensione e segno a seconda del contesto in cui vive e si manifesta. Per il popolo tedesco è metafora di una vita condotta in due, l’Ich e il partner che smettono di essere distinti e iniziano a fondersi negli intenti e nel sentire, così da alleggerire e superare la difficoltà di stare al mondo. Nei paesi nordici l’essere soli in due non è etichetta di emarginazione né di autoesclusione dalla società, è un modo di porre al centro della propria esistenza se stessi e l’esperienza che si può vivere con l’altro e, possibilmente, amplificandone i significati e le emozioni per mezzo della condivisione.

    Un habitus che non si contrappone all’ermeneutica meridionale, più orientata alla famiglia e al gruppo sociale di identificazione, ma che rappresenta un diverso cui guardare per raggiungere un equilibrio.

    Zweisamkeit I

    Zweisamkeit I è un brano che nasce su ispirazione di un esempio di architettura caratterizzata da 2 tetti a 2 falde con un’unica camera per gli ospiti che, quindi, hanno la possibilità soggiornare solo in 2 in un contesto di quasi totale immersione nella ruralità della bassa Murgia. La riflessione sulla progettazione del brano si è certamente soffermata sull’insistenza del numero 2, ma anche sull’esperienza che la struttura propone: l’esclusività in 2. Quest’ultima potrebbe già rappresentare una definizione di Zweisamkeit che, però, a differenza della sua traduzione italiana, dualitudine, non cela, e non intende farlo, la derivazione dal Wort Einsamkeit, solitudine. I linguisti culturalisti ne hanno fatto un emblema di intraducibilità. Perché se la solitudine, in una cultura mediterranea, appare triste, una solitudine di coppia sembra un inferno persino peggiore. Fortunatamente Zweisamkeit non implica necessariamente la coppia che si isola dalla società, bensì due persone che non necessitano di un orizzonte numericamente più ampio per vivere a pieno l’esperienza della vita. In Zweisamkeit I ho provato a immaginare non una dialogica di coppia trasposta e interpretata dai due strumenti, il pianoforte e il violoncello, bensì la diversa coniungazione del dialogo in un cambio culturale, ma soprattutto nella mutazione del vissuto di una stessa esperienza a seconda di quando, dove essa si svolge e chi la svolge.

    Zweisamkeit II

    Mentre Zweisamkeit I è il risultato di una composizione “per pannelli”, ossia una sequenza di scene in un ambito compositivo cosiddetto tonale e tematico, in cui il tema viene esplorato in alcune delle sue possibilità, Zweisamkeit II si distacca dal compito di coniugare le esigenze di immediatezza che intende in qualche modo riflettere anche l’architettura ispirata all’arcaicità del contesto rurale in cui è collocata e procede nell’esperienza timbrica di due strumenti che raramente associamo all’immaginario del duo con il violoncello, vale a dire il violoncello e l’oboe. Due strumenti apparentemente incociliabili ma che nella più personale delle interpretazioni della Zweisamkeit generano un dialogo sfuggente, quasi mai in perfetta armonia. Eppure in uno spazio condiviso che a tratti sembra non avere alternative, anzi in perfetto dialogo. Una contrapposizione sfuggente, ma giocosa quando non appare del tutto inconciliabile. Video realizzato da Luigi Florente.

    Zweisamkeit III

    La terza parte del ciclo non è pensata come drammaturgia di coppia, nemmeno con le dovute trasposizioni. Nel corso della riflessione, fino ad arrivare a questa ultima espressione, mi sono reso conto di come il focus fosse sempre rimasto sull’inconciliabilità del vissuto di Zweisamkeit tra due diverse culture. Ad esempio tra quella tedesca e quella italiana. E se ai miei studenti dico sempre che l’uomo che non conosce interpreta e interpretando inventa, come il più raffinato dei bardi e dei traduttori, io stesso non riuscivo a dare una traduzione al concetto di Zweisamkeit. Questa impossibilità, che banalmente si trasforma in intraducibilità, si pensi a concetto di lockdown, nella musica trova una chiave di coesistenza e, parlo a titolo del tutto personale, una chiave di accettazione estendibile all’intera difficoltà di vivere questi tempi. Quando questi sono difficili. Ad esempio, non tutto può essere bianco o nero e i colori non sono tutti uguali, e spesso noi uomini nemmeno li distinguiamo veramente. L’astrazione del linguaggio contemporaneo che contrappone il violoncello alla voce sopranile è un’occasione irripetibile, questa volta parlo per tutto il mondo dell’Arte, di interpretare la complessità dei nostri giorni ponendo in dialogo la musica nuova e questa nuova visione del mondo, o meglio Weltanschauung, ma anche questa è parola intraducibile. Il video è un tributo all’Arte, in questo caso in forma di gesto compositivo, che quando perde di Weltanschauung forse perde anche di credibilità.

  • La straordinaria vita di Dr. John per Spaghetti & Blues

    La straordinaria vita di Dr. John per Spaghetti & Blues

    Nella New Orleans degli anni 50, Mac Rebennack, noto come Dr. John – the Night Tripper, mosse i primi passi nel music biz, frequentando i locali per i quali suo padre riparava i sistemi di amplificazione. E fu questo ambiente altamente competitivo e costellato da pianisti come Professor Longhair, Tuts Washington e James Booker, che lo indusse a tentare la carriera da chitarrista. E sarebbe riuscito anche in quello se non fosse stato per un colpo di pistola accidentale che lo colpì ad una falange (link all’episodio).

    L’articolo completo: http://www.spaghettiblues.it/Articoli.html

  • Chopin, il diavolo e il pianoforte nostalgico

    La trama del Faust sembra percorrere trasversalmente l’intero ‘800, senza risparmiare virtuoso alcuno. E se molti conoscono i legami di Paganini e di Liszt e i loro presunti patti con il diavolo, pochi sono a conoscenza del fatto che al povero Chopin toccò avere a che fare con fenomeni che oggi definiremmo paranormali.

    Sembra infatti che Chopin, in partenza per dei concerti a Vienna, lasciò un vecchio pianoforte nel suo appartamento di Zelazowa-Wola. Un pianoforte cui era molto legato per via degli intensi studi giovanili.

    Al suo debutto a Vienna la sala era piena, ma il pubblico leggermente freddo ai suoi primi pezzi. Almeno fino al Notturno in Si minore, per il quale gli applausi furono frenetici, entusiasti.

    Chopin aveva vinto! Le sue dita volavano sul pianoforte: gli accordi si spandevano per l’aria, e quei gemiti sonori strapparono lacrime a qualche bella fanciulla. Finalmente, stanco, spossato, egli lasciò penzolare le braccia lungo il corpo, e il suo sguardo si fissò vago, indefinito per lo spazio, quasi in cerca di quella mistica figura che lo aveva ispirato, mentre la sala echeggiava per nuovi applausi frenetici.

    Ma egli non si scosse, tese l’orecchio, con una mano invitò tutti al silenzio e, fra lo stupore generale, avvenne il fatto più strano che fantasia di tedesco possa immaginare.

    Dapprima indistinto, ma a poco a poco più chiaro, preciso, pezzo per pezzo, si riudì tutto quanto aveva suonato Chopin. Non una nota cambiata, non una sfumatura di meno: tutto, tutto, identico, preciso. Si avrebbe giurato che lo stesso Chopin, ad una distanza incalcolabile, ripeteva il suo concerto sopra un pianoforte fatato. E l’illusione fu tale che molti s’avvicinarono difatti a Chopin per vedere se Belzebù non lo avesse trasportato altrove.

    Ma Chopin, pallido cadaverico, cogli occhi sbarrati, immobili da parere quelli d’un pazzo, non perdeva uno di quei prodigiosi suoni. Il giorno dopo, a Vienna, non si parlò che di questo fatto meraviglioso e tanta fu la curiosità in tutti, che al secondo concerto, per quanto i prezzi fossero elevatissimi, la sala non poté contenere che una quinta parte delle persone accorse. Il concerto ebbe luogo, e dopo, fra l’ansia generale, si riprodusse il fatto della sera prima, con una sola ma terribile variante.

    Al vibrar dell’ultimo accordo si udirono come migliaia di corde metalliche infrangersi mandando un suono stridente, forte, lamentevole.

    Tutta la sala sussultò e Chopin cadde come corpo morto al suolo.

    Interrompendo il suo tour di concerti, il pianista polacco tornò a Zelazowa-Wola, nella speranza di ritrovare pace e serenità. Ma qui ebbe la più grande sorpresa.

    Appena il portinaio lo vide:

    <<Ah! Signor Chopin! Ma nel partire avete forse chiuso il diavolo nella vostra stanza?>>

    <<Perché?>>

    <<Perché? E lo domandate? Ma non sapete che sono due sere che nessuno può dormire in questa casa! Quella vecchia carcassa del vostro pianoforte, proprio dalle undici all’una precisa, suona alla più bella. Sarebbe un piacere a udirlo se i suoi concerti li desse in un’ora meno impropria.>>

    Chopin non volle ascoltar altro. Salì a due a due i gradini della scala e trafelato ed ansante giunse all’uscio della sua stanza.

    Corre al suo vecchio pianoforte che trova nello stato più miserevole che si possa ideare. Era aperto e scoperchiato, i tasti affondati come se un grosso martello li avesse percossi: e le corde aggomitolate come tante serpi giacevano ai lati del povero strumento.

    A Vienna si riseppe subito tal cosa per mezzo dei giornali, ed allora un critico musicale che aveva narrato già la prima parte di questa strana storia subito scriveva: <<Ora tutto ci è noto. Il concerto invisibile cui assistemmo non era prodotto che dal vecchio pianoforte di Chopin. Questi nel partire aveva di troppo addolorato quel povero istrumento compagno ed amico suo, e nelle corde del quale egli aveva trasfusa la sua anima. Durante la lontananza di Chopin il vecchio pianoforte si lamentò col ripetere alla prima sera, eco innamorata, tutti i pezzi eseguiti dal suo amato padrone. Separavo forse che questi ritornasse subito al giorno dopo. Ma così non fu. Il pianoforte allora fece riudire accordi di pianto, melodie di dolore e il suo cuore – le corde – si spezzò.>>.

    Storia tratta da “La Musica Popolare” del 1882. Autore Der Träumer.

    Vito Schiuma

  • La musica classica contemporanea non esiste

    Si sprecano gli opinionisti su vecchi e nuovi Giovanni Allevi, Ludovico Einaudi, Ezio Bosso, ecc. Sempre seduti dalla parte del torto i poveri ascoltatori/fan, rei di apprezzare una musica che in qualche modo evoca in loro emozioni, anche forti stando alle mie fonti.

    La musica classica contemporanea

    Poi ci sono i veri compositori. Quelli che gli accordi li scrivono in rivolti e le modulazioni le fanno preparate. Quelli che però scrivono dalla cattedra di un Conservatorio e per cui vendere CD, partiture, concerti e un’attività di basso commercio. Le loro composizioni possono essere comprese solo da pochi e buoni.

    Salvo poi definirsi compositori di musica classica contemporanea. Sappiate, voi che condividete le loro disamine pseudo-obiettive, che la musica classica contemporanea non esiste. Non esiste perché il termine classico è già usato in maniera errata per definire musica di genere tonale – Bach, Mozart, Beethoven, per intenderci – ulteriore danno si fa quando si vuole intendere la musica scritta, composta, non estemporanea (la musica classica non lo era?). Insomma tutto tranne jazz, pop, rock e folk.

    L’ossimoro generalmente accettato

    Questa definizione è ancora più sbagliata perché ciò che è contemporaneo non può essere in nessun modo riconducibile al passato. Mi spiego, se indosso un abito medievale sto riproponendo qualcosa del passato (tutto da vedere), ma questo non fa di me un uomo medievale.

    Il contemporaneo implica un hic et nunc della composizione: scrivo perché sono un Uomo che vive in un mondo, in un’epoca ben precisa, descrivendo e interpretando la realtà o le emozioni con la mia personale chiave di lettura.

    Non si capisce perché ciò che è scontato per l’architettura, la pittura e la letteratura non debba essere valido anche per la musica.

    Gli innovatori

    Se c’è qualcuno dei suddetti compositori, e non solo, che fa riferimenti a stilemi musicali del passato – pazienza, non piacciono nemmeno a me – questo non li rende classici, li rende contemporanei che non innovano. Così come non innovano tutti gli altri che si ispirano al neo romanticismo, non innovano gli atonali, i jazzisti, i dodecafonici, i cacofonici, i seguaci di Darmstadt, quelli che “la musica è in me” ecc.

    La musica è contemporanea per il solo fatto di essere scritta al contempo in cui viene ascoltata. Prima lo capite, prima la finirete di arrovellarvi con disamine che puntano a classificare alcuni come inferiori e voi come superiori.

    Il successo non sarà un metro di giudizio giusto, non lo è mai stato, ma nemmeno l’analisi armonico-formale lo è più, ormai. La musica si scrive per intrattenere, elevare gli animi, emozionare. Certo non per innovare. Questa dovrebbe essere una conseguenza della nostra sensibilità di compositori.

    Abbiate un po’ di coraggio

    Abbiate il coraggio di ammettere che siete compositori non innovatori o innovatori che non emozionano perché non basta creare un ossimoro per sciogliere questo, unico e vero, dilemma.

    Vito Schiuma

  • Tu scendi dalle stelle, una sorprendente origine 

    È sicuramente uno dei brani natalizi più famosi al mondo e probabilmente tutti, da bambini, lo abbiamo cantato ad una recita natalizia. Eppure, come per la maggior parte del nostro retaggio culturale, ne ignoriamo le origini e soprattutto l’importanza per la nostra identità. Con mia somma sorpresa, quando ho iniziato a frequentare gli ambienti terlizzesi, scopro che quella che tutta Italia chiama Tu scendi dalle stelle, qui viene chiamata Pastorella, in virtù dell’agreste dialogo tra il pastore e le verginelle. Ma veniamo alla questione.

    La querelleFelice de Paù

    La Pastorella viene istituita come canto religioso per la novena di Natale nella prima metà del Settecento grazie ad un editto del vescovo di Tropea, Mons. Felice de Paù. Il vescovo, di ovvia origine nobile, aveva potuto godere di un altissimo livello d’istruzione, sia dal punto di vista letterario che musicale. Le fonti parlano di sue composizioni di ottimo pregio e la sua adesione all’Accademia dell’Arcadia ne suggellano l’indubbio spessore artistico.
    Ora, non c’è nulla di scritto che leghi il testo e la musica della Pastorella terlizzese al suddetto Monsignore, se non la volontà di stabilire per iscritto una prassi per i canti della Novena.
    La querelle inizia quando un altro innovatore della musica religiosa natalizia si intitola la melodia e il testo di quella che oggi tutti conosciamo come Tu scendi dalle stelle, San Alfonso dei Liguori. In realtà nemmeno del Santo sono pervenuti manoscritti, bensì gli viene attribuita una raccolta di canti religiosi a metà Ottocento, per via della sua erudizione musicale e per l’opera di evangelizzazione nelle province del Regno.

    Ma allora chi ha copiato chi?

    I due brani sono simili, affatto uguali, in gran parte del testo delle strofe, come si può vedere da questo confronto. Entrambi i canti sono basati su una melodia che richiama una nenia, ossia la tipica cantilena di una ninna nanna. Finiscono qui le similitudini.
    Il testo della Pastorella terlizzese è chiaramente ispirato ai principi dell’Accademia dell’Arcadia, come sostenuto dallo studioso terlizzese, Don Gaetano Valente, e alterna le strofe ad un ritornello più ritmato, quasi a spezzare la cantilena della nenia. Inoltre la prima strofa della Pastorella terlizzese è completamente assente in Tu scendi dalle stelle, così come i versi di introduzione. Proprio sulla base delle similitudini tra i due testi si è ampiamente dibattuto sull’origine del canto, o meglio sulla sua paternità. Eppure un’analisi musicale consentirebbe a Terlizzi di sottrarsi ad un dibattito che in realtà riguarda più altri paesi (Nola, Napoli, Caggiano, ecc.).

    Mi spiego meglio. Dal mio punto di vista i seguenti aspetti che rendono i brani del tutto diversi.

    La melodia
    Prendendo solo le prime 16 note di entrambe le strofe, solo 4 hanno la stessa sequenza di intervalli (cioè le prime due note e, quindi, la loro ripetizione), tuttavia queste sue note iniziali porterebbero lo stesso nome, ma non gli stessi accidenti, trattandosi di una seconda minore nella Pastorella e una seconda maggiore in Tu scendi dalle stelle. Per intenderci non sussisterebbe alcuna base legale per intentare una causa di plagio. Anche la vocalizzazione della melodia è completamente diversa (si veda la parte “…O Re del cielo…”). A livello di analisi del periodo, la Pastorella è improntata su un periodo in forma di sentence, mentre Tu scendi dalle stelle è in periodo simmetrico, con un secondo periodo contrastante ritmicamente.
    La melodia della Pastorella fa utilizzo di intervalli minori e della caratterizzante scala minore napoletana.

    2. L’armonia
    Tu scendi dalle stelle è un brano costruito su due accordi, quello di tonica e quello di dominante.
    La Pastorella fa uso di toniche e dominanti secondarie, conferendo alla melodia maggiore articolazione. C’è anche da dire che nel caso della Pastorella il canto viene eseguito in forma monodica, è quindi difficile dare un’interpretazione armonica alla melodia. Di particolare rilievo è l’utilizzo dell’accordo di sesta napoletana, molto utilizzato nella musica popolare e colta del Settecento. Ma su questo torneremo in seguito.

    3. La modalità
    Tu scendi dalle stelle è in modalità maggiore, nella maggior parte dei casi in Do o in Re maggiore.
    Al contrario la Pastorella terlizzese è in modalità minore nella parte della strofa e maggiore nel ritornello ritmato. Una differenza, tra i due brani, pari a quella tra il giorno e la notte. Due atmosfere completamente diverse, la tonalità maggiore per antonomasia trasmette tranquillità e gioia, quella minore è caratterizzata da sfumature di malinconia e tragicità, soprattutto negli intervalli di semitono e, nel caso della Pastorella, nel ritardo della terza alla fine della strofa.

    5. Il ritmo
    Come si può vedere dalla figura sopra, anche il ritmo delle due melodie è del tutto contrapposto, pur essendo entrambe in forma di nota puntata (nella figura, in tempo binario composto), come tipico delle ninna nanna.

    4. Le origini
    Veniamo così a quella che secondo me è la differenza più netta tra i due brani.
    Il canto della Pastorella terlizzese ha un’origine chiaramente popolare per via dell’uso della modalità minore, degli intervalli di seconda minore e della sesta napoletana. In alcuni casi la cantilena, magistralmente interpretata dai fedeli terlizzesi, sembra toccare intervalli di quarti di tono, tipici della musica popolare pugliese e la cui origine è ascrivibile all’influenza arabo-bizantina di epoche ben più remote. Il canto è molto più simile alle nenie registrate da etnomusicologi del calibro dei fratelli Lomax, in Puglia e, soprattutto, nell’area di transumanza che portava dall’Abruzzo fino a Terlizzi (Sovereto), che allo stesso Tu scendi dalle stelle, il quale è invece un brano più sereno, orecchiabile e moderno nel senso natalizio del termine.

    Le conclusioni dello studioso terlizzese, Don Gaetano Valente, sono a mio avviso corrette nell’interpretazione del testo e nell’intuizione di un’opera di rifinitura musicale del dotto de Paù, ma non tengono in considerazione le notevoli differenze musicali. La mera riflessione sul testo sarebbe interessante a parità di melodia, armonia e ritmica, ma così non è. Personalmente non credo avesse molto senso per i terlizzesi “copiare” solo il testo di una melodia (quella di San Alfonso) già esistente e di assoluta bellezza e successo. Tuttavia l’analisi musicale non può in alcun modo mettere in dubbio l’origine popolare, meridionale del brano, di cui solo Terlizzi si fa custode orgogliosa della sua promulgazione, che sia o meno composta dal conterraneo nobile compositore.

  • Stairway to Heaven, plagio dei Led Zeppelin?

    Dopo aver visto Michael Jackson condannato per aver plagiato Albano (non è uno scherzo, vedi qui) pensavamo di averle viste tutte nel mondo del copyright. E invece no. Il caso ancora più clamoroso tira in ballo Stairway to Heaven dei Led Zeppelin.
    Il fatto.

    Randy California

    Gli Spirit, una band californiana anni ’60, compongono nel 1968 un brano dal titolo “Taurus” e nella tournée dello stesso anno la banda di apertura ai loro concerti sono niente di meno che i Led Zeppelin. Nel 1971 proprio i Led Zeppelin spopolano con la celebre Stairway to Heaven che successivamente riscuoterà maggiore successo del brano degli Spirit. Ora la questione verte intorno a 8 note, compreso basso e melodia. Cioè secondo la band californiana, Jimmy Page avrebbe copiato il famosissimo pattern del basso e la relativa melodia che ha reso inconfondibile il brano. Per intenderci le prime 4 battute della strofa.
    Il colpo di scena.
    Il quotidiano di Dallas DMN ha condotto delle indagini e ha scoperto che non solo c’è un altro brano ancora precedente ai due in questione: Cry me a River di Davy Graham (min. 0:20), ma un passaggio del brano barocco “Sonata di chitarra e violino con il suo basso continuo” dell’italianissimo chitarrista Giovanni Battista Granata (min. 0:32) avrebbe lo stesso identico passaggio di chitarra in versione seicentesca.
    La spiegazione.
    Escludendo che i Led Zeppelin fossero cultori della musica barocca italiana (correggetemi se sbaglio), a mio modo di vedere la musica queste cause non hanno alcun senso. E qui vi spiego perché.

    Giovanni Battista Granata

    La maggiore influenza di Stairway to Heaven deriva certamente dal brano degli Spirit per cui ora Randy California avanza pretese di copyright per decine di milioni di euro, soprattutto perché essendo le due band a stretto contatto alla fine degli anni ’60 è impossibile che Jimmy Page non avesse ascoltato quel brano prima di scrivere il suo brano più famoso. Ma di questi esempi è stracolma la musica. Un altro famoso caso di processo simile è il “plagio” di Mozart nel suo Requiem rispetto all’italiano Pasquale Anfossi, precisamente dalla Sinfonia Venezia (1776). Ora premettendo che Mozart non avesse bisogno di copiare, ricordiamoci che a quei tempi se andava bene un brano riuscivano ad ascoltarlo una volta e basta.
    Questo fenomeno si spiega in due modi.
    Il primo è che la memoria e la creatività di un musicista si sviluppa tramite sedimentazione di materiale melodico-emotivo (non è una malattia) che funziona più come una spugna che come un hard-disk su cui memorizzare melodie, sequenze armoniche ecc. Cosa vuol dire? Vi è mai capitato di sognare un brano inedito o di suonare qualcosa di meraviglioso che poi al risveglio non ricordate? Si tratta dello stesso identico meccanismo. La nostra mente assorbe e, nella maggior parte dei casi, non ricorda la fonte. Questo è uno dei motivi per cui ascoltare la musica ci rende ascoltatori, prima, e musicisti, dopo, migliori. In realtà nel caso di Mozart si trattava di una vera e propria prassi per cui era ammesso “riciclare” materiale di compositori coevi e precedenti. In Mozart è frequentissimo, ma personalmente credo più al primo motivo.
    Il secondo motivo per cui ciò si è verificato in Stairway to Heaven è perché si tratta di uno dei bassi più diffusi nella storia della musica (per capirci: la – sol# – sol – fa). La differenza con gli altri brani che non riconosciamo immediatamente la fa l’accompagnamento melodico (o riff di chitarra nel caso dei Led) in forma di arpeggi di armonizzazione della nota del basso. Anche questa forma di accompagnamento è tra le più diffuse di sempre. Altro elemento piuttosto “scontato” è la melodia che sale in contrapposizione al moto contrario del basso (per capirci: la – si – do – re), che altro non è che una mezza scala minore. A supportare questa mia interpretazione della vicenda vi è il fatto che, se ci fate caso, dopo la quarta battuta i brani si differenziano tutti, proprio perché di lì si interrompe questa specie di configurazione armonica “preconfezionata”. Una specie di basso di lamento (non vi preoccupate non è grave!!) alterato.

    Ora considerato che il giudice ha dato il via libera al proseguimento della causa, il caso sarebbe potuto costare caro ai Led Zeppelin, se non fosse che l’esempio del brano di Granata spazza qualsiasi nube di plagio, rendendo la sequenza armonico-melodica di pubblico dominio.
    Bene, non ci resta che scrivere un brano con quelle quattro battute, che diventi più famoso di Stairway to Heaven. Purtroppo, caro Randy California, non funziona proprio così.
    Vito Schiuma
    Fonte: Digital Music News