Vito Schiuma

Pianist, Composer, Musician.

Categoria: L’opinione di Vito

  • Concerto di Tony Effe a Roma: spreco di fondi pubblici o riflesso di un sistema culturale inefficace?

    Concerto di Tony Effe a Roma: spreco di fondi pubblici o riflesso di un sistema culturale inefficace?

     

    L’amministrazione di Roma organizza con soldi pubblici un concerto con artisti particolarmente apprezzati dalla GenZ, tra cui Tony Effe.

    L’amministrazione di Roma ha organizzato un concerto di Capodanno con artisti particolarmente amati dalla GenZ, tra cui Tony Effe. Tuttavia, la presenza del trapper ha suscitato polemiche: gli stessi organizzatori, pressati da critiche interne al loro partito, hanno deciso di cancellare la sua esibizione, citando i suoi testi giudicati violenti e sessisti.

    Questo caso apre una questione interessante, non tanto sull’opportunità morale di finanziare artisti controversi, ma sull’efficacia dell’utilizzo dei fondi pubblici in eventi culturali.

    Tony Effe: Dal Concerto Pubblico al Sold-Out Privato

    Dopo l’annullamento della sua partecipazione al concerto pubblico, Tony Effe ha organizzato un evento privato con biglietti al costo di 10 euro: sold-out in meno di 24 ore. Questo fatto evidenzia una contraddizione: perché il Comune di Roma (come tanti altri in Italia) investe soldi pubblici in eventi che potrebbero autofinanziarsi facilmente grazie al grande seguito degli artisti coinvolti?

    Il Ruolo dei Fondi Pubblici nella Cultura

    I fondi pubblici dovrebbero avere uno scopo diverso: sostenere iniziative che promuovano generi musicali e artisti meno commerciali, favorendo l’inclusione culturale e l’educazione dei cittadini. Investire in eventi destinati a fare sold-out a prescindere non eleva i livelli culturali, ma si limita a seguire logiche di mercato che il settore privato potrebbe gestire autonomamente.

    Politica e Cultura: Un Rapporto Distorto

    La retorica spesso giustifica questi investimenti pubblici con il pretesto delle ricadute economiche, come il turismo e l’indotto per ristoranti e B&B. Ma il tessuto sociale di una città non si compone solo di attività economiche: ci sono realtà culturali e sociali che rischiano di essere ignorate in favore di logiche puramente commerciali.

    Conclusione

    Il caso di Tony Effe e del concerto di Capodanno a Roma è solo uno dei tanti esempi di come la politica italiana utilizzi la cultura in modo discutibile. Gli eventi pubblici non dovrebbero replicare il mercato privato, ma ampliare le possibilità culturali per tutti i cittadini. È arrivato il momento di rivedere le priorità culturali del Paese e investire in progetti che abbiano un reale valore sociale.

  • Richiedi una recensione autentica del tuo album

    Richiedi una recensione autentica del tuo album

    La musica è un universo vasto e infinitamente sfaccettato. Ogni nota, ogni ritmo, ogni melodia racconta una storia unica, e io sono qui per ascoltare ogni storia. La musica oggi non ha bisogno di quella distesa di blog anonimi e deserti, popolati di recensioni acquistate a buon mercato pur di “indicizzare” il proprio lavoro artistico. La verità è che il web funziona ancora come la migliore delle riviste: se ci sono contenuti sinceri e autentici, il pubblico segue, legge e apprezza, altrimenti guarda e passa.

    Un Ponte tra Artisti: La Mia Nuova Iniziativa

    Sono entusiasta di annunciare un nuovo servizio dedicato a tutti i musicisti: recensioni aperte e genuine per album ed EP di qualsiasi genere musicale. Non importa che tu sia un artista pop, un musicista jazz, un rapper underground, un compositore classico o un produttore elettronico – il tuo lavoro merita di essere ascoltato con rispetto e attenzione. Nel corso degli anni, ho avuto la possibilità di studiare la maggior parte dei cosiddetti generi musicali, ma solo l’esperienza mi ha spogliato di qualsiasi pregiudizio e di adottare un approccio volto alla comprensione del messaggio artistico.

    Perché Questo Servizio?

    • Credo che ogni opera musicale abbia un valore intrinseco, indipendentemente dal genere o dalla popolarità
    • Offro uno sguardo professionale e costruttivo, basato sulla comprensione del linguaggio artistico
    • Voglio creare un dialogo autentico tra musicisti, non una valutazione fredda e distaccata

    Il Mio Approccio Unico

    La mia recensione non sarà un verdetto, ma un dialogo. Analizzerò:

    • Composizione musicale
    • Originalità
    • Qualità tecnica
    • Impatto emotivo
    • Coerenza artistica

    Come Funziona?

    1. Invia il tuo album/EP tramite il form
    2. Ricevi una recensione professionale entro 7-10 giorni
    3. Ottieni feedback dettagliato e rispettoso
    4. Al momento il servizio è totalmente gratuito.

  • L’ultimo di Shemekia Copeland: un viaggio soul nel paesaggio sonoro americano

    L’ultimo di Shemekia Copeland: un viaggio soul nel paesaggio sonoro americano

    La voce di Shemekia Copeland è un dono del cielo. Nel suo ultimo album, “Done Come Too Far”, questa cantante americana ci regala un viaggio emozionale attraverso i generi più radicati nella storia musicale del suo paese. Dal blues al gospel, dal folk al country, ogni traccia è un capitolo unico di questo eccitante percorso.

    L’album si apre con il pezzo che dà il titolo al lavoro, “Done Come Too Far”, una potente preghiera blues della resistenza e della speranza. La voce di Shemekia si impone con autorità, scolpendo ogni parola e ogni nota con una profondità e una sincerità che lasciano senza fiato. Questa traccia dà il tono per tutto l’album, esibendo la gamma e la passione che rendono Copeland una delle migliori cantanti blues del suo tempo.

    Ma Copeland non si limita a un solo genere. Con disinvoltura, passa al bluegrass di “Drivin’ Me”, dove il suo canto si fa più leggero e giocoso, accompagnato dal ritmo incalzante del banjo. E in “In the Blood of the Blues”, si lancia in un inno gospel di liberazione e redenzione, la sua voce si espande come un fiume in piena, trascinando l’ascoltatore in un turbine di emozione. Questa capacità di spaziare tra i generi è una delle chiavi del fascino di “Done Come Too Far”.

    Gli arrangiamenti sono un’altra chiave del successo di questo album. La produzione è ricca e variegata, con ogni strumento che aggiunge un tassello al mosaico sonoro. Dalla chitarra elettrica che si fa strada nel blues di “Smuggler’s Notch” ai soavi archi che avvolgono la ballata “Angel of Music”, ogni elemento contribuisce a creare un’atmosfera unica per ogni traccia. Questa attenzione ai dettagli rende “Done Come Too Far” un’opera maestra della musica roots americana.

    E al centro di tutto c’è la voce inconfondibile di Shemekia Copeland. La sua è una voce che sa esprimere l’anima dei generi che interpreta, che sa evocare le radici più profonde della musica americana. Ascoltarla è un’esperienza quasi spirituale, che tocca il cuore e l’anima. Con “Done Come Too Far”, Copeland conferma il suo posto tra le grandi voci della musica americana, un’eredità che include leggende come Ma Rainey, Bessie Smith e Mahalia Jackson.

    In conclusione, “Done Come Too Far” è un album imperdibile per chi ama la musica roots americana. Shemekia Copeland ci offre un viaggio musicale unico e emozionale, che ci fa apprezzare la ricchezza e la varietà della tradizione musicale del suo paese. Con la sua voce potente e la sua capacità di spaziare tra i generi, Copeland ha creato un’opera maestra che resterà nel cuore degli ascoltatori per molto tempo. Non perdetevelo!

    Nota biografica: Shemekia Copeland è una cantante americana di blues, soul e gospel nata il 10 aprile 1979 a Harlem, New York. Ha iniziato la sua carriera musicale nel 1997 e ha pubblicato il suo album di debutto, “Turn the Heat Up”, nel 1998. Da allora, ha pubblicato una serie di album acclamati dalla critica, vincendo numerosi premi e collaborando con artisti come Buddy Guy, B.B. King e Dr. John. Con “Done Come Too Far”, Copeland continua a esplorare la ricca tradizione musicale americana, portando avanti l’eredità delle leggende del blues e del gospel che l’hanno ispirata.

  • Quello che non ho letto su Dr. John

    Quello che non ho letto su Dr. John

    Ad un mese circa dal trapasso del pianista, cantante, songwriter Dr. John, al secolo Malcolm John “Mac” Rebennack, sono tante le riflessioni che passano per la mente di chi, nel suo piccolo, ha provato e prova tutti i giorni a rendere la sua musica un po’ più conosciuta al pubblico.

    Prima cosa: il 7 giugno è andata in scena la solita ipocrisia all’italiana. Fiumi di condivisioni di “Such a Night”, prevedibile, visto che su YouTube è il primo risultato di ricerca. Non vi siete degnati nemmeno di ascoltare un suo album per intero. Figuriamoci inserirlo in repertorio.

    Avreste capito che non è né il suo brano più significativo, né quello di maggiore successo. Infatti la sua hit in classifica è stata “Right Place, Wrong Time” e, inoltre, questo brano, insieme a “Qualified”, è a mio avviso il vero manifesto del modo di vedere il mondo e la società del buon Doc. Non di certo la “fantastica serata” (per non tradurre con Smorz’ e light di Renzo Arbore). Come al solito dagli Stati Uniti si parte incendiari e si arriva pompieri in Italia.

    Magari la traduzione della biografia o quella di chi magari conosce l’inglese un po’ meglio di “io l’inglese lo so” o “mio cuggino” avrebbe evitato figure barbine su interviste e affermazioni improbabili: Mac non era un “chitarrista”, era un pianista prestato alle sei corde, convinto di non avere alcuna chance in una scena in cui erano attivi pianisti come Professor Longhair, James Booker, Champion Jack Dupree, Tuts Washington e chi più ne ha più ne metta. Allora decise di restare a galla imbracciando la chitarra che prontamente abbandonò dopo essersi sparato ad un dito.

    Non è una semplice puntualizzazione, né pedanteria, è solo voler rimarcare che Dr. John è stato probabilmente il pianista più completo di New Orleans, una vera enciclopedia di stili (della città e non solo) che non impari tra una dose e l’altra.

    Certo è bella la favoletta del ragazzino che “assorbe” ogni forma di blues ascoltando i dischi del negozio del padre, ma è ancora più vero che la scena cittadina degli anni ’50, inizi anni ’60 era impressionante per un musicista professionista: serate da 6-8 ore ininterrotte di boogie e rock ‘n roll, sessioni di registrazioni in nome e al posto di artisti in tour, incontri musicali non di certo inframezzati dalla fatidica domanda “c’è cachet? Sai io lo faccio per lavoro…”.

    Tra sciacalli e geni, tutti kings, professors and queens, questa è stata la fucina che ha formato un vero e proprio Originator. Sarebbe stato questo il termine più corretto per definirlo, mentre stride qualsiasi altro appellativo, soprattutto di genere. Un Originator è un artista che riconosci dalla prima nota del disco.

    Ma prima di diventare tale, Mac è stato soprattutto un umile apprendista di ogni forma di musica popolare americana, un potente condensatore di stili, di tecniche, non solo pianistiche ma anche in termini di composizione e arrangiamento. Un artista con una visione di suono parallelo alla rivoluzione hippie, alla beat generation, alla psichedelia. al jazz, sopravvivendo ad esse e restando fedele alle proprie origini.

    Soprassiedo sui “gezzisti professionisti” che con la mano destra condividono link per essere eletti migliori gezzisti di questa o quella rivista (non di certo la notizia della scomparsa di un “pianista Ragtime“, omissis), mentre con la stessa mano avrebbero potuto aprire qualche album del Dr. John e magari svegliare la mano sinistra dall’atavico torpore studiando l’uso che Lui ne faceva della propria mano sinistra, con sole 4 dita e mezzo.

    Del resto in un paese che non distingue il Ragtime dallo Stride, il Dixieland dal New Orleans, il funk dai secondline, per i direttori artistici di festival autoproclamatisi “New Orleans” è facile spacciare programmazioni da anni ’20 con la vera musica del Big Easy.

    Un’ultima considerazione al vetriolo non posso che riservarla a quelli che, a volte imparentati con quelli di prima, “il blues è musica da neri”, “la musica della sofferenza”, “la black music”. Questa volta mi sono perso le vostre considerazioni razziste (sì, esatto, rimarcare differenze che non esistono è razzismo). Quando aprirete un libro di storia di New Orleans sarà sempre troppo tardi.

    La mia grande consolazione è il successo che riscuote la musica di Mac nel pubblico più sincero, quello che ha l’apertura mentale di ascoltare qualcosa di diverso, quello che si lascia emozionare dalla potenza di un messaggio che in questo paese sarebbe ancora nuovo dopo 50 anni.

    Vito Schiuma

    Discografia essenziale

    Gris-Gris
    Dr. John’s Gumbo
    In the Right Place
    Desitively Bonnaroo
    ZuZu Man
    Locked Down
    Dr. John plays Mac Rebannack

  • Buon governo, ovvero l’Armonia del potere illuminato

    Nei suoi Emblemata del 1531, Andrea Alciato accosta due termini latini, chorda (la corda) e corda (i cuori), sottolineando come basti una sola corda rotta o non accordata a spezzare l’armonia e a rendere necessaria l’interruzione del concerto, lo stesso vale nella sfera politica, la perdita di uno solo degli alleati può infrangere l’alleanza necessaria al buon governo.

    Nell’allegoria dell’Umanesimo il buon governo è simboleggiato dall’artista che tiene i suoni in armonia, anche nonostante la precarietà di una corda tesa. Così il buon politico, illuminato da senso di altruismo, di bellezza e società opera per il benessere del “pubblico”, tenendo insieme tutte le parti con maestria e sapienza. Buon governo a chiunque sia chiamato al benessere dei propri convenuti.

    Vito Schiuma

  • L’Arte è Politica – Una riflessione sulle elezioni politiche 2018

    A 7 giorni dalle elezioni politiche 2018 il mio personale j’accuse non va ai politici, né agli organi di informazione, ma alla nostra mortificata categoria di artisti.

    Anche in questa delicata campagna elettorale abbiamo lasciato la funzione di interpretazione dei tempi, di assunzione di posizioni di denuncia o persino elogio ad una classe di politici senza credibilità, a giornalisti impegnati a coltivare il proprio orticello, opinionisti da talk, ovvero aggregatori di like, di cui non si capisce da dove derivi l’autorevolezza. In più la maggior parte di questi è in grado di esprimere un’opinione solo per gettare tutto nel calderone della mala politica, del benaltrismo e del “sono tutte cazzate”. Ebbene, lo fanno solo per giustificare, alle apparenze, l’inedia che li porterà, nel segreto delle urne, a votare sempre per gli stessi.

    Ma non è colpa loro. Warhol aveva predetto 15 minuti di fama per tutti, ma tutti cercano fama in ogni singolo minuto della vita.

    La colpa è di chi potrebbe (almeno così era in passato) dare una chiave di lettura, di chi dovrebbe cogliere le grandi ingiustizie sociali e personali che dominano l’Italia. La colpa è di chi quello spazio dovrebbe occuparlo per la straordinaria e unica capacità dell’artista di cogliere sfumature, per la sensibilità e l’empatia per chi sta peggio di noi.

    Vi vedo qui a condividere i vostri brani sulla felicità, sulla tranquillità. Buona camomilla! Ma in che mondo vivete? Da dove traete ispirazione per tanta pace e seraficità che tanto stride per le strade?

    Restate quasi tutti abbottonati, imperturbabili, nel vostro mondo dei sogni, scollando l’arte dalla vita reale. Temete di inimicarvi l’amico, il cugino, il parente impegnato politicamente, che si ricorda di voi quando ha bisogno del voto. Avete paura di perdere quel patrocinio semigratuito che vi consente di scattare qualche selfie e ostentare successo su Facebook.

    Sappiate che siete esattamente come vi vogliono. Muti e allineati. In secondo piano rispetto alle loro autorevoli opinioni, legittimate da una divina ascendenza.

    Personalmente preferisco diecimila volte sbagliare. Elogiare Napoleone e poi strappare la dedica dell’Eroica (link al riferimento). Ma non asseconderò la loro fobia di ascoltare qualcuno che sia più libero di loro.

    Vito Schiuma

  • La musica classica contemporanea non esiste

    Si sprecano gli opinionisti su vecchi e nuovi Giovanni Allevi, Ludovico Einaudi, Ezio Bosso, ecc. Sempre seduti dalla parte del torto i poveri ascoltatori/fan, rei di apprezzare una musica che in qualche modo evoca in loro emozioni, anche forti stando alle mie fonti.

    La musica classica contemporanea

    Poi ci sono i veri compositori. Quelli che gli accordi li scrivono in rivolti e le modulazioni le fanno preparate. Quelli che però scrivono dalla cattedra di un Conservatorio e per cui vendere CD, partiture, concerti e un’attività di basso commercio. Le loro composizioni possono essere comprese solo da pochi e buoni.

    Salvo poi definirsi compositori di musica classica contemporanea. Sappiate, voi che condividete le loro disamine pseudo-obiettive, che la musica classica contemporanea non esiste. Non esiste perché il termine classico è già usato in maniera errata per definire musica di genere tonale – Bach, Mozart, Beethoven, per intenderci – ulteriore danno si fa quando si vuole intendere la musica scritta, composta, non estemporanea (la musica classica non lo era?). Insomma tutto tranne jazz, pop, rock e folk.

    L’ossimoro generalmente accettato

    Questa definizione è ancora più sbagliata perché ciò che è contemporaneo non può essere in nessun modo riconducibile al passato. Mi spiego, se indosso un abito medievale sto riproponendo qualcosa del passato (tutto da vedere), ma questo non fa di me un uomo medievale.

    Il contemporaneo implica un hic et nunc della composizione: scrivo perché sono un Uomo che vive in un mondo, in un’epoca ben precisa, descrivendo e interpretando la realtà o le emozioni con la mia personale chiave di lettura.

    Non si capisce perché ciò che è scontato per l’architettura, la pittura e la letteratura non debba essere valido anche per la musica.

    Gli innovatori

    Se c’è qualcuno dei suddetti compositori, e non solo, che fa riferimenti a stilemi musicali del passato – pazienza, non piacciono nemmeno a me – questo non li rende classici, li rende contemporanei che non innovano. Così come non innovano tutti gli altri che si ispirano al neo romanticismo, non innovano gli atonali, i jazzisti, i dodecafonici, i cacofonici, i seguaci di Darmstadt, quelli che “la musica è in me” ecc.

    La musica è contemporanea per il solo fatto di essere scritta al contempo in cui viene ascoltata. Prima lo capite, prima la finirete di arrovellarvi con disamine che puntano a classificare alcuni come inferiori e voi come superiori.

    Il successo non sarà un metro di giudizio giusto, non lo è mai stato, ma nemmeno l’analisi armonico-formale lo è più, ormai. La musica si scrive per intrattenere, elevare gli animi, emozionare. Certo non per innovare. Questa dovrebbe essere una conseguenza della nostra sensibilità di compositori.

    Abbiate un po’ di coraggio

    Abbiate il coraggio di ammettere che siete compositori non innovatori o innovatori che non emozionano perché non basta creare un ossimoro per sciogliere questo, unico e vero, dilemma.

    Vito Schiuma

  • South Italy Blues Connection – Ossigeno per il blues italiano

    Pensavo di averle viste e sentite tutte. E invece no. Signori, nel 2017 c’è chi copia gli arrangiamenti di cover (e non sa arrangiare nemmeno il proprio strumento) e poi parla male anche delle cover/tribute band, sempre in prima fila quando si tratta di criticare Giovanni Allevi o Ludovico Einaudi. C’è chi definisce il soul di Ray Charles una “specie di tarantella”, chi si improvvisa in totale assenza di competenza, conoscenza e umiltà, tanto alla fine è sempre colpa degli altri e di questo “paese di merda!1!”. E poi ci sono i peggiori, quelli che non riconoscono la diversità nella musica, è musica solo quella che suonano (?) loro. E si definiscono pure artisti, che è un po’ come dire che sei un terrorista moderato.

    Mentre costoro sono a piede libero, con licenza di uccidere giornalmente quello che resta della pietosa cultura musicale in Italia, c’è un gruppo di persone che ha messo su qualcosa di veramente grande: la South Blues Italy Connection. Due giorni, 24 e 25 giugno 2017, di musica ininterrotta (dalle 15 alle 00:30) in quello che sta diventando un tempio del Blues, la Casa Cava di Matera. I migliori artisti e gruppi nazionali si avvicendano per 15 minuti su un palco che

    trasuda blues da tutti i dB e in cui avrò la possibilità di portare ancora una volta la bandiera della Louisiana e del pianoforte blues di New Orleans, domenica 25 alle ore 18:00. Ringrazio gli organizzatori, tra cui Rosario Claps e Donato Corbo.

    Sono queste le occasioni che danno linfa vitale alla musica e rendono migliori i musicisti che sanno cogliere le opportunità di incontrare altri artisti, confrontarsi, ascoltare composizioni originali, analizzare lo stato di salute del blues italiano e imparare dagli altri. Imparare dagli altri, quest’attività sconosciuta in un’Italia in cui nessun ha più nulla da imparare da nessuno.

    Vi aspetto con il mio piano blues in quel di Matera, Città capitale della cultura del 2019.

    Di seguito il programma completo.

    Vito Schiuma

  • Stairway to Heaven, plagio dei Led Zeppelin?

    Dopo aver visto Michael Jackson condannato per aver plagiato Albano (non è uno scherzo, vedi qui) pensavamo di averle viste tutte nel mondo del copyright. E invece no. Il caso ancora più clamoroso tira in ballo Stairway to Heaven dei Led Zeppelin.
    Il fatto.

    Randy California

    Gli Spirit, una band californiana anni ’60, compongono nel 1968 un brano dal titolo “Taurus” e nella tournée dello stesso anno la banda di apertura ai loro concerti sono niente di meno che i Led Zeppelin. Nel 1971 proprio i Led Zeppelin spopolano con la celebre Stairway to Heaven che successivamente riscuoterà maggiore successo del brano degli Spirit. Ora la questione verte intorno a 8 note, compreso basso e melodia. Cioè secondo la band californiana, Jimmy Page avrebbe copiato il famosissimo pattern del basso e la relativa melodia che ha reso inconfondibile il brano. Per intenderci le prime 4 battute della strofa.
    Il colpo di scena.
    Il quotidiano di Dallas DMN ha condotto delle indagini e ha scoperto che non solo c’è un altro brano ancora precedente ai due in questione: Cry me a River di Davy Graham (min. 0:20), ma un passaggio del brano barocco “Sonata di chitarra e violino con il suo basso continuo” dell’italianissimo chitarrista Giovanni Battista Granata (min. 0:32) avrebbe lo stesso identico passaggio di chitarra in versione seicentesca.
    La spiegazione.
    Escludendo che i Led Zeppelin fossero cultori della musica barocca italiana (correggetemi se sbaglio), a mio modo di vedere la musica queste cause non hanno alcun senso. E qui vi spiego perché.

    Giovanni Battista Granata

    La maggiore influenza di Stairway to Heaven deriva certamente dal brano degli Spirit per cui ora Randy California avanza pretese di copyright per decine di milioni di euro, soprattutto perché essendo le due band a stretto contatto alla fine degli anni ’60 è impossibile che Jimmy Page non avesse ascoltato quel brano prima di scrivere il suo brano più famoso. Ma di questi esempi è stracolma la musica. Un altro famoso caso di processo simile è il “plagio” di Mozart nel suo Requiem rispetto all’italiano Pasquale Anfossi, precisamente dalla Sinfonia Venezia (1776). Ora premettendo che Mozart non avesse bisogno di copiare, ricordiamoci che a quei tempi se andava bene un brano riuscivano ad ascoltarlo una volta e basta.
    Questo fenomeno si spiega in due modi.
    Il primo è che la memoria e la creatività di un musicista si sviluppa tramite sedimentazione di materiale melodico-emotivo (non è una malattia) che funziona più come una spugna che come un hard-disk su cui memorizzare melodie, sequenze armoniche ecc. Cosa vuol dire? Vi è mai capitato di sognare un brano inedito o di suonare qualcosa di meraviglioso che poi al risveglio non ricordate? Si tratta dello stesso identico meccanismo. La nostra mente assorbe e, nella maggior parte dei casi, non ricorda la fonte. Questo è uno dei motivi per cui ascoltare la musica ci rende ascoltatori, prima, e musicisti, dopo, migliori. In realtà nel caso di Mozart si trattava di una vera e propria prassi per cui era ammesso “riciclare” materiale di compositori coevi e precedenti. In Mozart è frequentissimo, ma personalmente credo più al primo motivo.
    Il secondo motivo per cui ciò si è verificato in Stairway to Heaven è perché si tratta di uno dei bassi più diffusi nella storia della musica (per capirci: la – sol# – sol – fa). La differenza con gli altri brani che non riconosciamo immediatamente la fa l’accompagnamento melodico (o riff di chitarra nel caso dei Led) in forma di arpeggi di armonizzazione della nota del basso. Anche questa forma di accompagnamento è tra le più diffuse di sempre. Altro elemento piuttosto “scontato” è la melodia che sale in contrapposizione al moto contrario del basso (per capirci: la – si – do – re), che altro non è che una mezza scala minore. A supportare questa mia interpretazione della vicenda vi è il fatto che, se ci fate caso, dopo la quarta battuta i brani si differenziano tutti, proprio perché di lì si interrompe questa specie di configurazione armonica “preconfezionata”. Una specie di basso di lamento (non vi preoccupate non è grave!!) alterato.

    Ora considerato che il giudice ha dato il via libera al proseguimento della causa, il caso sarebbe potuto costare caro ai Led Zeppelin, se non fosse che l’esempio del brano di Granata spazza qualsiasi nube di plagio, rendendo la sequenza armonico-melodica di pubblico dominio.
    Bene, non ci resta che scrivere un brano con quelle quattro battute, che diventi più famoso di Stairway to Heaven. Purtroppo, caro Randy California, non funziona proprio così.
    Vito Schiuma
    Fonte: Digital Music News 

  • J. S. Bach e il jazz. Ci sono relazioni?

    Resto sempre sorpreso dall’assoluta ignoranza in storia della musica, armonia e analisi musicale di chi con fare da rivoluzionario della musica sostiene che il buon Johann Sebastian Bach sia stato il primo jazzista della storia della musica.
    Per prima cosa non posso sorvolare sulla grande assenza di cognizione di cosa sia il jazz a livello storico-culturale, in tutte le sue forme ed evoluzioni. Il jazz non è mai stato un genere ligio al dovere, “servo” della funzione religiosa. Al contrario, è sempre stato un modo per esprimere dissenso, dal blues al bop, amore e sessualità, dallo swing al soul. La musica di Bach è prevalentemente di carattere religioso o, nel caso della musica profana, di carattere allegorico-religioso. Ad esempio la simbologia del diabulus in musica.bach-hanewinckel
    Fatta questa premessa, andiamo a vedere quali sono i principali argomenti di chi ama riscoprire il jazz nella seriosa e complessa arte di Bach.
    I modi.
    Per prima cosa la musica di Bach non è modale. Anzi, è ben radicata nella tonalità, soprattutto come impianto all’interno del quale spostarsi nella composizione (vedi Clavicembalo Ben Temperato). La confusione nasce da diversi fattori, primo tra i quali è lo stile compositivo della fuga, arte sublimata dal genio tedesco, che riciclando in continuazione materiale melodico (tema) è obbligato incessantemente a ricorrere a modulazioni o, meglio, tonicizzazioni. Un altro elemento fuorviante è l’uso frequente, ma non predominante, della cadenza plagale (IV – I), e la successione IV – V – I, entrambe diffusissime nella musica moderna. In ogni caso, Bach non ragionava in senso modale, nella migliore delle ipotesi intendeva la tonalità in tutte le sue infinite possibilità. Ma soprattutto i modi NON sono stati inventati dai jazzisti, ed eventualmente non li avrebbe inventati nemmeno Bach. I modi risalgono all’antica musica greca e venivano utilizzati in senso atonale nella musica medievale europea e mediorientale e addirittura nei canti gregoriani.
    La scala di Bach.

    Una scala modernissima caratterizzata dal sesto e settimo grado alterati anche nella melodica minore discendente. La scala è detta anche Dorica 7M. Per questo qualche tuttologo del jazz, che da poco ha imparato l’esistenza della scala dorica, ascoltando il Köln Concert di Jarrett (tanto di cappello, ma lui si che aveva una cultura bachiana a 360 gradi), si sente lo scopritore del primo jazzista al mondo. No. Questa scala non è stata inventata da Bach, è utilizzata spesso dal compositore ma sempre in modo sfuggente e in funzione delle sue esigenze contrappuntistiche.
    Lo swing.
    Croma col punto e semicroma non è swing. È una figurazione ritmica delle migliaia utilizzate da Bach. E anche questa di origini antichissime. Un patrimonio culturale che Bach possedeva tutto, dimostrando che se veramente vogliamo capire qualcosa di nuovo della Storia della Musica dovremmo andare a studiare COME questi autori possedessero conoscenze vaste e approfondite di culture passate e tramandate oralmente (il Musica Enchiriadis?). L’accompagnamento in contrappunto, che ricorda l’accompagnamento di un contrabbasso o di un pianista (dotato di due mani) jazz, non ha niente a che vedere con quel procedimento di accompagnamento e di scansione del tempo. Il basso nella musica bachiana è una voce importante come tutte le altre, che non scandisce il tempo (in senso stretto), bensì è paragonabile all’importanza di un quartetto vocale.
    Le dissonanze.
    Le dissonanze tipicamente jazzistiche, le più diffuse sono la 7ma, la 9na e la 13ma, sono tra le dissonanze più accettate già secoli prima della nascita di Bach. Solo che nella teoria classica si chiamano diversamente, ma la sostanza è che all’orecchio di Bach arrivano ben assimilate. Infatti le differenze, e quindi la novità del jazz, sta nell’uso che se ne fa (preparazione, risoluzione, ecc.), che in Bach è assolutamente ortodosso.
    L’improvvisazione.
    Bach era un grande improvvisatore come tutti gli altri geni che lo hanno preceduto e seguito. Ovviamente delle sue improvvisazioni non è rimasta traccia, se non per qualche aneddoto. Da questo punto di vista i problemi sono due. Il primo è rappresentato dalla relazione tra composizione e improvvisazione. Le due forme dovevano avere una grande affinità in Bach, considerato che riusciva a improvvisare fughe, tuttavia non la vedo come una grandissima capacità di improvvisare (pur essendolo) bensì come una grandissima capacità di comporre (nella mente ed estenporaneamente). Nel jazz è tutto il contrario: la capacità di improvvisare non è sintomo di grande preparazione nella composizione, anzi. Il secondo problema è di tipo formale. Nel jazz l’improvvisazione ha una sua collocazione precisa, nella maggior parte dei casi dopo l’esposizione Johann_Sebastian_Bach.jpgdel tema. Nella musica cosiddetta colta l’improvvisazione si materializza in forme leggermente più aperte come il preludio, la toccata o la fantasia.

    In conclusione basta un minimo di conoscenza di storia della musica e analisi musicale per rendersi conto che questa disciplina ha ancora tanti punti interrogativi, ma tra questi non ci sono l’anticipazione di un genere che per genesi, forma e manifestazione non ha senso in un contesto diverso dal suo originario. In questo caso è come dire che i cinesi hanno inventato il blues perché utilizzano la pentatonica da millenni. Absolute non-sense.
    Vito Schiuma