Una volta, al termine di una piccola esibizione al piano, si avvicina un idiota (lo so, ce ne sono diversi in giro) e comincia a parlarmi di quanto l’uso di droghe sia fondamentale per un musicista. Della serie “Tutti i più grandi facevano uso di droghe, vedi Jimi Hendrix e Bob Marley“. Gli risposi che questo discorso lo sento fare spesso da chi non si è mai seduto al pianoforte dopo aver bevuto 3 cicchetti di rum. Poi però mi sono preso la briga di interrogare direttamente my friend Jimi. Ecco cosa mi ha risposto:
“Le droghe non sono necessarie, è ovvio. Puoi trovare ciò di cui hai bisogno in tante altre cose […]. La gente non vede l’ora che tu le faccia perdere la testa. La musica ne é capace. La droga non serve. La musica è uno sballo sicuro […]. Ritmo e movimento, niente di più.”
Queste le sue parole tratte da un bellissimo libro di Alan Douglas e Peter Neal, intitolato “Jimi Hendrix – Zero, La mia storia” (Einaudi). Un’autobiografia creata solo ed esclusivamente con parole da lui pronunciate o scritte.
Questo ovviamente non significa che dobbiamo credere ciecamente alle sue parole, è più che dimostrato che facesse uso di sostanze. A mio avviso il vero sballo di Jimi Hendrix erano i volumi altissimi sul palco (come confermato dall’autobiografia del Dr. John “Under a Hoodoo Moon” e la psichedelia della chitarra, pensata come mezzo di elettrificazione dei popoli. A volte riteneva di essere penoso se non riusciva a raggiungere tali livelli.
Per deformazione personale la parte più bella è la dichiarazione d’amore verso il blues, la volontà, anche negli ultimi anni, di voler ripartire dal blues.
“Voglio tornare al blues perché è quello che sono.”
Jimi Hendrix morì convinto di essere un bluesman con l’obiettivo di portare il messaggio del blues in tutto il mondo, professando la pace e l’amore come una grande Chiesa laica. Quella che lui chiama Electric Church.
Studiare la musica classica e unirla al blues, formare una big band e comporre una “musica così perfetta da essere in grado di penetrare il corpo degli esseri umani come fosse un raggio e, alla fine, curare”.
Smentendo qualcuno che ancora lo scrive, Jimi non stava affatto pensando ad un’evoluzione jazz, anzi lo riteneva un genere molto distante da sé, “con quel basso che corre come un pazzo”.
Ritornando all’idiota di cui sopra, solo un grande lavoro può permettere di raggiungere quel suono che tante formazioni hanno provato ad emulare:
“Questa settimana abbiamo provato dalle dodici alle diciotto ore al giorno, di filato! Ce la siamo spassata.” Parlando delle prove con Buddy Miles e Billy Cox in preparazione del primo album con la Band of Gypsys. Uno schiaffo a chi crede di poter andare in giro a suonare con 1 o 2 prove. Quanto migliori di Jimi Hendrix pensate di essere, esattamente?
Vito Schiuma
Riferimenti:
“Jimi Hendrix – Zero, La mia storia” (Einaudi).
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